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Baby Blues e Depressione Post Partum

Federica Tilgher • Jul 03, 2020
Alzi la mano chi nei primi giorni dopo il parto non ha pianto senza alcun motivo apparente almeno una volta. 
Quel momento in cui vorremmo scoppiare di gioia ma in realtà le lacrime scorrono a fiumi. Che succede? I corsi pre-parto non mancano e, fortunatamente se ne parla molto più che in passato. Ma ci si arriva mai davvero preparati? E soprattutto… Qual è l’impatto sul bambino e sul sonno?

Per iniziare, ho invitato la dottoressa Isabella Zanini, Psicologa dell’Infanzia e dell’Adolescenza e Specializzanda in Psicoterapia psicoanalitica, a spiegarci meglio cosa succede.

“Quando nasce un bambino può succedere che una neo-mamma non si senta così felice come si era immaginata. Nei giorni subito dopo il parto, è molto frequente che una mamma si senta un po’ giù. Si può sentire triste, d’umore variabile e ansiosa; questo vissuto viene comunemente definito baby blues ed è, in gran parte, ascrivibile ai rapidi cambiamenti ormonali.

In alcuni casi però la tristezza, l’ansia e il senso di non riuscire a fare la mamma si protrae. Compare un senso di indifferenza rispetto a quello che accade: la mamma non prova piacere e le sembra tutto inutile oppure si sente sempre molto preoccupata per il benessere del piccolino. Si possono associare sintomi fisici quali insonnia oppure forte sonnolenza, tachicardia, mal di testa e disturbi alimentari. Se questi vissuti fisici ed emotivi permangono nei mesi possiamo parlare di depressione post-partum.

 Si distinguono all’interno della depressione post-partum due tipologie (Murray e Cooper, 1997): 
- una meno grave legata ai fattori biologico-ormonali e a specifiche questioni socio-psicologiche connesse alla maternità (problemi economici, lutti, assenza del partner oppure assenza di supporti pratici ed emotivi); 
- l’altra tipologia, più grave, ha a che fare con una pregressa vulnerabilità della mamma alla depressione, che si attiva quindi come risposta allo stress.

In entrambi i casi è importante rivolgersi ad uno specialista che possa aiutare la donna in questa fase così delicata. La tempestività dell’intervento è importante perché può sostenere da subito la difficile esperienza emotiva della mamma nella relazione con il bebè aiutandola a non sentirsi sbagliata ma ad accogliere questo suo momento di fragilità.  
Un supporto psicologico alla mamma può rendere la relazione con suo figlio meno frustrante e colpevolizzante migliorando di conseguenza anche il benessere del neonato.”

Insomma… La situazione è piuttosto buia. E mi aggrego all’invito della dott.ssa Zanini a cercare subito supporto appena vi rendete conto che qualcosa non quadra nel vostro stato d’animo.

Dico spesso: la maternità è anche un lutto. Perché dobbiamo lasciare andare la nostra vita precedente. Il nostro desiderio di volerci sentire ancora “figli” sembra incompatibile con l’enorme peso di essere diventati “genitori”. E infatti questo il momento in cui ci tornano a galla tutti i ricordi della nostra infanzia e si è pervase da un grande bisogno di avere accanto a sé la propria mamma. (E voi, papà, comprendete e rispettate questo bisogno!). 

Pensate quanto si complicano le cose quando si aggiunge anche la privazione di sonno tipica dei primi mesi. Un mix davvero potente.  

Nella mia pratica, mi capita spesso di sentire questa frase: “non dormo da settimane, questa situazione mi sta mandando in crisi, mi sento depressa”. E i campanelli d’allarme suonano all’impazzata. 

È infatti molto molto facile ascrivere alla mancanza di sonno tutte queste sensazioni buie. Numerosi studi confermano la relazione ad alto coefficiente tra privazione di sonno e depressione.
Gli stessi studi, tuttavia, confermano anche che si tratta di una correlazione che viaggia in entrambi i sensi.

La depressione, infatti, molto spesso è la causa (e non solo la conseguenza!) di insonnia e sonnolenza:
- aumenta la latenza, ossia il tempo di addormentamento;
- aumenta la proporzione di sonno REM all’interno del ciclo del sonno, a scapito del sonno NREM 3 e 4, ossia il sonno pesante ristoratore si riduce. 

Questo come si traduce?
Una mamma che si sveglia nel corso della notte per le 2, 3, 4 poppate biologicamente richieste dal neonato, potrebbe riaddormentarsi subito dopo (o magari mentre allatta) riuscendo a gestire la situazione in modo più o meno sostenibile. O al contrario, fare fatica a riaddormentarsi dopo ogni risveglio; e questo è purtroppo l’effetto di ansia e depressione. 
Quando si innesca questo meccanismo, le ore effettive di sonno della neo-mamma – tra risvegli del piccolo e tempo passato a cercare di riaddormentarsi – si riducono a… niente! 

Lo stesso dicasi per la giornata. Se ai naturali sbadigli di una neo-mamma che arriva da una nottata di sonno frammentato si aggiunge il senso di sonnolenza e abbattimento dettato dalla depressione, la gestione della giornata diventa estremamente faticosa sia dal punto di vista fisico che emotivo.

Un effetto valanga devastante.

La conferma di questo ci arriva dagli studi che dimostrano come la percezione del sonno del bambino sia pesantemente filtrata dalla situazione personale del genitore. 
I classici tre risvegli notturni di un bambino di 6 mesi possono essere interpretati come “il mio bambino dorme tranquillo” così come “la situazione è fuori controllo”. E la differenza tra i due casi la fa soltanto la percezione di una mamma in stato di ansia e depressione rispetto a una che si sente supportata e felice. 
Stesso dicasi per l’addormentamento: i 20-30 minuti canonici di addormentamento “assistito” del bambino, possono pesare come un macigno su una mamma che, a causa di ansia e depressione, ha poca pazienza e tanto sonno.

E il bambino, in tutto questo?
Ahimè il primo a risentirne è proprio lui. 

Lo stato depressivo del genitore ha un effetto negativo sul bambino, che assorbe la tensione e le sensazioni buie attorno a sé, a tutte le età e a prescindere da quanto bravi siano i genitori a cercare di nasconderlo (Code, 2011).
Pensate che lo stato ansioso-depressivo della mamma può arrivare ad influenzare il piccolo già nell’utero, perché gli ormoni dello stress vengono trasferiti attraverso la placenta (Blakeley et al. 2013).

Ma è soprattutto nei primi mesi di vita che i disordini emotivi della mamma hanno un impatto sul piccolo; i bambini, infatti, hanno un sistema di regolazione estremamente immaturo. Ecco perché si parla di “con-regolazione”, dove è lo stato della mamma a dettare legge su quello del piccolo. 

Ricordiamoci che il sonno è una funzione biologica, incontrollabile volontariamente, che “accade” naturalmente grazie al sistema nervoso parasimpatico. Quando il sistema nervoso simpatico è attivato – in particolar modo con una reazione “attacco-fuga” (in risposta allo stress) o congelato nello stato di “freeze” (tipico dell’indolenza depressiva), ecco che il sonno fa molta fatica ad “accadere”. 

Per poter dormire serenamente, mamma e figlio devono potersi trovare in una “zona” di calma emotiva.  

Non c’è davvero dubbio che ansia/depressione di genitori e figli siano interconnessi. A tal punto che un disordine di un genitore può essere predittivo di un analogo disordine che i propri figli potrebbero affrontare crescendo (Silverman and Treffers, 2001). La vulnerabilità alla depressione, cioè, si trasmette non solo geneticamente ma anche come effetto dell’esposizione a tali stati emotivi nei primi mesi/anni di vita.

Come si esce da questo pantano?

Cominciamo col dire che nonostante la depressione post-partum sia piuttosto frequente (alcuni studi parlano di circa 13-15% delle mamme), l’incidenza ormonale è da ritenere solo una causa parziale. 
In questo caso, i dati sull’allattamento sono molto incoraggianti e sicuramente la scelta (coraggiosa!) di dedicarsi all’allattamento al seno è un ottimo scudo contro la depressione. L’incidenza di depressione post partum sulle donne che allattano, cioè, è parecchio inferiore rispetto a quella delle mamme che si affidano al biberon (Figueiredo et al. 2013; Kendall-Tacket 2014). 

Piuttosto, sembrano essere fattori afferenti alla sfera delle relazioni personali e sociali ad avere l’impatto principale.
Cosa voglio dire? Che spesso le lacrime di una mamma vengono “liquidate” da parenti o dagli stessi papà: “sono gli ormoni”, si dice. Sarebbe invece importante che chi sta attorno alla mamma si assumesse parte della responsabilità in questo processo, facendo il possibile per garantire il massimo sostegno pratico ed emotivo. 

Cominciamo a offrire una mano per fare la spesa; per prenderci cura della casa; i papà ricomincino presto a corteggiare e fare sentire le neo-mamme amate e supportate. Tutto questo ha un effetto determinante sulla ripresa emotiva della mamma e, di conseguenza, sul benessere del piccolo. Anche sul suo sonno!

“Ci vuole un villaggio per crescere un bambino”, dicono in Africa. Ed è proprio così! 
Voi mamme, non smettete mai di fare rete. Di aiutarvi, sostenervi. Senza nascondere la vostra depressione e le vostre lacrime. Perché, credetemi, ci siamo passate tutte! 

E, mi raccomando, quando la situazione si fa pesante, contattate un bravo specialista privato o i centri di supporto psicologico disponibili gratuitamente sul territorio. 

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